Roma, 11 marzo 2022 – Comunicato stampa della FEDERAZIONE CIMO-FESMED
Sono 2.500 i casi di violenza, aggressione o minaccia che si verificano ogni anno in sanità. Più di 12mila quelli accertati dall’Inail tra il 2016 ed il 2020. Questi, tuttavia, sono i numeri ufficiali, che non possono includere i tanti, troppi, eventi non denunciati. Medici, professionisti e operatori sanitari, infatti, ormai ritengono le aggressioni verbali e le pressioni psicologiche parte del proprio lavoro; spesso hanno paura di ritorsioni da parte degli aggressori o preferiscono non puntare i riflettori sulle cause delle violenze quando sono legate a tempi e liste di attesa, che potrebbero “imbarazzare” le direzioni generali. Molti, allora, scelgono il silenzio, lavorando nella paura, che inevitabilmente influenza in senso negativo anche la relazione con i pazienti.
È dunque impossibile quantificare le aggressioni in sanità, che vanno ben al di là dei Pronto soccorso distrutti o delle violenze fisiche che finiscono sui giornali. Un fenomeno tanto grave da spingere il Parlamento ad istituire la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”, che da quest’anno ricorre ogni 12 marzo.
«Per poter intervenire efficacemente, il fenomeno deve emergere con chiarezza – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, sindacato dei medici ospedalieri -. Proporremo dunque all’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie presso il Ministero della Salute, di cui fanno parte anche i rappresentanti dei sindacati che compongono la Federazione CIMO-FESMED, di istituire un punto di ascolto in cui denunciare le aggressioni anche in forma anonima. Riteniamo inoltre necessario che le aziende organizzino corsi di formazione obbligatori per tutti i dipendenti su eventi sentinella, prevenzione e gestione di episodi di conflitto. Infine, oltre a stipulare protocolli operativi con le forze di polizia, sarebbe opportuno installare nelle aree più a rischio, come i Pronto soccorso, dei sistemi di videosorveglianza con adeguati strumenti che garantiscano la privacy. Sono solo alcune proposte, ma dobbiamo a tutti i costi trovare il modo per proteggere i colleghi».